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Il lavoro innanzitutto

Il lavoro è un diritto evocato nella nostra Costituzione, è un’opportunità sociale a cui nessuno deve rinunciare, un impegno verso i cittadini a cui nessuno, Stato o imprenditore, può sottrarsi. Per questo il lavoro è il…

Il lavoro è un diritto evocato nella nostra Costituzione, è un’opportunità sociale a cui nessuno deve rinunciare, un impegno verso i cittadini a cui nessuno, Stato o imprenditore, può sottrarsi. Per questo il lavoro è il protagonista di questa mostra e lo sarà anche per le prossime che la nostra Fondazione ha in programma di realizzare.

Il lavoro, non solo inteso quale strumento per accedere ad una vita dignitosa, ma il Lavoro concepito soprattutto come entità per guadagnare dignità, socialità, senso delle realtà e, in ultima analisi, Libertà.

La Fondazione C. Laviosa, estremamente sensibile alle molteplici valenze delle connessioni ed implicazioni del Lavoro, si ripropone di promuovere, in futuro, dibattiti, studi, manifestazioni culturali e borse di studio all’insegna di questo tema.

La scelta di affidare questo progetto alla fotografia nasce dall’incontro con Serafino Fasulo. Serafino, in virtù delle sue molteplici esperienze culturali, ci ha fatto capire come e quanto la fotografia sia uno strumento espressivo moderno ed efficace, ma soprattutto molto in linea con la finalità della nostra Fondazione di raccontare il lavoro in tutte le sue forme. Ringrazio quindi Serafino che con la sua passione e competenza ci ha portati a questo primo evento.

L’idea di raccontare il lavoro in ciascuno dei molteplici ambiti in cui si realizza sarà la linea guida del concorso fotografico che la fondazione si propone di organizzare anno dopo anno. La decisione di avviare il progetto della Fondazione raccontando il lavoro in ambito nautico è frutto dall’incontro con il sindaco di Livorno, Filippo Nogarin, e ci ha subito trovati favorevoli nel rispetto della specificità della nostra città, delle sue tradizioni, del suo legame con il mare e con tutto quello che al mare riconduce.

Mi auguro che la nostra Fondazione, promuovendo anno dopo anno una mostra fotografica che coniughi il lavoro in una delle sue infinite forme, possa diventare un evento noto e riconosciuto e quindi in grado di dare un servizio culturale e sociale alla nostra comunità.

In veste di Presidente della Fondazione sono stato invitato a partecipare ai lavori di selezione degli scatti in gara. L’esperienza e le conoscenze dei membri esperti della giuria mi hanno infatti svelato le modalità per poter cogliere quanto potere espressivo possa esserci in una foto. Con animo ed occhi nuovi, ho percepito l’intensità e la nitidezza narrativa di un’immagine fotografica e così mi auguro che sarà anche per Voi.

Un grazie alla nostra città di Livorno ed al suo sindaco che ci ospita così degnamente per la prima manifestazione della nostra Fondazione.

Giovanni Laviosa
Presidente Fondazione Laviosa

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Fotografia e mondo del lavoro
Il lavoro nel mondo della nautica: cantieri velici, circoli nautici e attività correlate

Verso la metà del 1800, dopo secoli di studi sui risultati provocati dal far convogliare la luce su una superficie attraverso un foro, grazie alla scoperta di materiali foto sensibili, nacque la fotografia. Spesso ridotta a…

Verso la metà del 1800, dopo secoli di studi sui risultati provocati dal far convogliare la luce su una superficie attraverso un foro, grazie alla scoperta di materiali foto sensibili, nacque la fotografia. Spesso ridotta a mezzo per registrare la realtà, la fotografia faticherà a trovare una sua dignità tra i linguaggi creativi. Ad essa venne riconosciuto il merito di liberare la pittura dalla necessità di riproduzione del reale e non è casuale che correnti come quella impressionista e macchiaiola siano coeve della diffusione dell’apparecchio fotografico. Nella contemporaneità spesso si sono rovesciati i parametri e la fotografia si è svincolata dalla necessità di riproduzione del reale per dar spazio ad istanze autoriali. Oggi la macchina fotografica è spesso usata come supporto per esigenze artistiche. Senza niente togliere all’importanza di percorsi creativi, ci piace proporre il far fotografia come uno sguardo sulla realtà che trova la sua originalità non tanto nel trasformarla sospinti da un’esigenza artistica ma nel desiderio di ricerca di nuovi punti di vista, di angolazioni che mettono in crisi il banale, l’ovvio, il codificato.

La Fondazione C. Laviosa, con il progetto “Fotografia e Mondo del Lavoro”, avvia un percorso che, partendo da uno strumento capace di registrare lo spazio circostante grazie all’effetto della luce, vuole approdare piuttosto alla messa in luce di aspetti relativi al concetto di osservazione. Lo scopo che il progetto si è dato è pertanto quello di diffusione di un linguaggio attraverso l’incontro con autori, percorsi didattici, ricerca. Non interessano il “clik” fotografico come testimonianza di una superficiale esigenza tassonomica di un passaggio, né la ricerca estetizzante o sensazionale di un concetto di “bello” standardizzato, né il compiacimento artistico spesso derivante da una manipolazione della materia ma uno sguardo capace di sorprendere e di sorprendersi attraverso la comprensione dell’altro da sé, che si tratti di paesaggio con o senza figure. Una fotografia etica che nasca dal desiderio di mettersi in connessione con l’immagine, frutto cioè dell’empatia tra fotografo e soggetto.

Il progetto ha trovato un partner convinto nell’Amministrazione Comunale che ha messo a disposizione competenze, spazi e risorse. La prima tappa del nostro percorso riguarda il mondo dei cantieri navali, con particolare attenzione alla vela. Non poteva essere altrimenti, il mare è la grande risorsa di Livorno, i commerci e gli incontri di culture che il mare ha generato sono i pilastri portanti della città. L’imbarcazione è il contenitore ed il contenuto di uno sviluppo che cominciò col gonfiarsi delle vele e con lo sbattere dei remi sull’acqua per poi produrre il rumore dei motori. Che l’acqua non separa, lo dimostra la copiosa partecipazione di concorrenti di tutt’Italia, con invii di immagini anche dalla Tunisia e dall’India, alla prima edizione di “Fotografia e mondo del lavoro: cantieri velici, cantieri nautici e correlati”.

Ci auspichiamo future edizioni, con nuove tematiche, che attraverso un’indagine sul mondo del lavoro sempre più vedano partecipanti di ogni dove, perché il lavoro è il terreno di comprensione della disparità di condizione tra paese e paese, perché parlare di lavoro significa riflettere sull’energia primaria della quale l’umanità dispone e sul concetto di democrazia. La fotografia può dare il suo contributo.

Serafino Fasulo
Art Director Fondazione C. Laviosa

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I mestieri del mare

Gli occhi scuri di bambini di paesi in via di sviluppo che maneggiano eliche più grandi di loro. I volti afflitti degli operai di un cantiere nautico in Bangladesh, dove sicuramente non sono osservate le benché minime regole…

Gli occhi scuri di bambini di paesi in via di sviluppo che maneggiano eliche più grandi di loro.
I volti afflitti degli operai di un cantiere nautico in Bangladesh, dove sicuramente non sono osservate le benché minime regole di antinfortunistica.
Sono alcuni degli emblematici scatti fotografici relativi ai mestieri del mare, al centro di questa interessante mostra al piano terra del Museo “G.Fattori” che si apre proprio il 2 giugno, giorno in cui si celebra la Festa della Repubblica, e “l’Italia – come recita solennemente l’articolo 1 della nostra Costituzione – è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”.
Intitolata “Fotografia e mondo del lavoro. Il lavoro nel mondo della nautica, cantieri velici, circoli nautici e attività correlate”, la mostra scaturisce da un concorso fotografico voluto dalla Fondazione “C. Laviosa” in collaborazione con il Comune di Livorno nell’ambito di un progetto di ampio respiro incentrato sul tema del lavoro, in tutte le sue declinazioni. A partire dall’assunto che il lavoro nobilita l’uomo. Anzi, lo nobiliterebbe se. Se il lavoro ci fosse per tutti, se non fosse precario, se le donne non fossero discriminate, se i mestieri più a rischio fossero svolti in sicurezza e le morti bianche fossero un’eccezione e se se se…
In realtà, l’attuale situazione in cui il capitale ha trovato molto più produttivo, conveniente, delocalizzare in paesi ove il costo del lavoro, sta creando fenomeni sempre maggiori di disoccupazione e marginalizzazione. E non solo nei paesi cosiddetti emergenti. Anzi: guardando nel cortile di casa nostra, le statistiche ci dicono del crescente impoverimento e nel contempo di un progressivo venire meno delle tutele e dei diritti dei lavoratori che credevamo ormai acquisiti. Facendo venir meno quanto auspicato dai Padri costituenti nell’incipit della nostra Carta costituzionale.

Fortunate eccezioni, tornando alla mostra, sono rappresentate da quelle foto scattate nei luoghi in cui nascono scafi e vele, in cui si produce la nautica per il piccolo diporto ma anche yacht di lusso mettendo in evidenza competenze e professionalità, tradizione e avanguardia.

Quale mezzo è più adatto per cogliere gli attimi del lavoro in ognuna delle sue sfaccettature? La fotografia!
Bene ha fatto dunque la Fondazione Laviosa, e la ringraziamo, a investire in questo progetto che ha una valenza culturale ma anche sociologica .
A conferma che la fotografia, come diceva il grande Henri Cartier Bresson “è una mannaia che coglie nell’eternità l’istante che l’ha abbagliata“.

Francesco Belais
Assessore alla Cultura Comune di Livorno (giugno 2016 – giugno 2019)

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Confini: Velika Kladuša

Con il reportage a Velika Kladuša la Fondazione Carlo Laviosa inizia un percorso internazionale a testimonianza dell’enorme contributo che il volontariato organizzato e/o spontaneo produce in aiuto dei profughi diretti in…

Con il reportage a Velika Kladuša la Fondazione Carlo Laviosa inizia un percorso internazionale a testimonianza dell’enorme contributo che il volontariato organizzato e/o spontaneo produce in aiuto dei profughi diretti in Europa.
Velika Kladuša è un comune della Federazione di Bosnia ed Erzegovina situato nel Cantone dell’Una-Sana con circa 45.000 abitanti. Un tempo città del miracolo economico bosniaco, cerca di fare i conti con le cicatrici di una guerra civile ancora visibili e con l’arrivo di profughi provenienti soprattutto da Siria, Pakistan, Afghanistan, Iran e Africa del Nord. È situata a pochi chilometri dalla Croazia ma oggi le relazioni commerciali con quel paese sono pressoché nulle. Il governo croato ha disposto di erigere una barriera lungo la frontiera per respingere i migranti che dalla Bosnia cercano di entrare in un paese della Comunità Europea.
Migliaia di migranti sono riusciti ad arrivare in Bosnia-Erzegovina fuggendo da guerra e miseria e si calcola che almeno diecimila di loro, tra cui numerose donne e molti bambini, siano ammassati in quello che è uno tra i paesi piú poveri d’Europa e, tra gli Stati o province dell’ex Yugoslavia, quello che insieme al Kosovo (entrambi sono a maggioranza musulmana) è piú esposto e vulnerabile alla propaganda islamista dell’Isis e al suo tentativo di reclutare freedom fighters tra i locali o tra i migranti.
Spesso i migranti di passaggio in Bosnia dormono all’aperto o in baraccopoli-tendopoli organizzate: Sarajevo non ha i mezzi per fornire loro un tetto provvisorio o un rifugio adeguato. Negli ultimi mesi si calcola che circa 16 mila migranti siano riusciti a passare il confine bosniaco-croato. Il campo di Velika oggetto del nostro reportage non ha neanche un nome, l’unico segno di intervento istituzionale sono tre bagni chimici, per il resto non ci sono strutture di sorta se non tende improvvisate con teli di plastica e sacchi di iuta sorretti da bastoni. Durante gli inverni freddi e piovosi, fango e sporcizia sono elementi dominanti. Le associazioni di volontariato cercano periodicamente di pulire il campo ma il senso di precarietà di chi vive là fa sì che si trascuri l’igiene. Nessuno lì si sente a casa, si è di passaggio o almeno così si spera, è pertanto comprensibile un atteggiamento che rifiuta l’idea di uno stanziamento da rendere ospitale.

Si è a Velika per tentare di varcare il confine croato ma c’è chi ci ha provato anche 21 volte senza riuscirci, il copione è sempre lo stesso: quando la polizia croata cattura il profugo in cerca di rifugio gli sequestra denaro e cellulare che regolarmente frantuma, recidendo quel debole cordone con la terra d’origine e con gli affetti. Infine la polizia copre il profugo con una coperta e lo bastona. Ferite riportate nei tentativi di fuga spesso si aggravano a causa delle scarse condizioni igieniche. Medici e infermieri provenienti da tutto il mondo portano il loro contributo con le poche cose che hanno a disposizione. Nel campo ci sono solo maschi, perlopiù giovani. Usufruiscono di spazi comuni per lavarsi e di cibo fornitogli da associazioni umanitarie ma sovente sono anche gli abitanti del luogo a distribuire cibo caldo, coperte, abiti. Ci sono note comiche involontarie che rendono il dramma ancora più cupo: ditte di abbigliamento contribuiscono al vestiario, magari regalando uno stock di cappelli e sciarpe dello stesso colore trasformando i profughi in supporters di chi sa quale squadra. A momenti il campo si svuota; una piccola trattoria ai margini del paese, convertita al sostentamento dei profughi, distribuisce 300 pasti al giorno. Qualcuno usufruisce di un barber shop dove profughi fanno barba e capelli a profughi che magari si preparano per l’ennesimo tentativo di superamento della frontiera croata. Intabarrati, a gruppi partono e non si sa per dove e non sanno per dove. Restano i cani in cerca degli avanzi di niente.

Serafino Fasulo
Art Director Fondazione C. Laviosa

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