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LA COPERTINA
L’autorità portuale in visita alla Laviosa Chimica Mineraria

di Antonella Alboni

La Laviosa Chimica Mineraria ha ricevuto in visita, ai suoi stabilimenti di Livorno, Luciano Guerrieri, il nuovo presidente delle Autorità del sistema portuale del mar Tirreno settentrionale, accompagnato dal segretario generale Matteo Paroli e da Fabrizio Marilli, responsabile del demanio. È stato un incontro straordinario, volto ad approfondire le attività e le esigenze dell’azienda.

La Laviosa Chimica Mineraria ha ricevuto in visita, ai suoi stabilimenti di Livorno, Luciano Guerrieri, il nuovo presidente delle Autorità del sistema portuale del mar Tirreno settentrionale, accompagnato dal segretario generale Matteo Paroli e da Fabrizio Marilli, responsabile del demanio.
È stato un incontro straordinario, volto ad approfondire le attività e le esigenze dell’azienda.

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Foto Maurizio Curina
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Incontro a Dubai

INCONTRO STRATEGICO LAVIOSA INDIA Si è svolto a Dubai, dal 30 novembre a 2 dicembre, un incontro strategico con la Laviosa India. Hanno partecipato il nostro AD, Giovanni Laviosa assieme ad Umberto Laviosa, India president. Dall’India erano presenti Denis de Souza, country manager, Purvara Jadeja, operation manager, Shashin Shah, finance manager e Lakshman Kumar, sviluppo…

INCONTRO STRATEGICO LAVIOSA INDIA

Si è svolto a Dubai, dal 30 novembre a 2 dicembre, un incontro strategico con la Laviosa India. Hanno partecipato il nostro AD, Giovanni Laviosa assieme ad Umberto Laviosa, India president.

Dall’India erano presenti Denis de Souza, country manager, Purvara Jadeja, operation manager, Shashin Shah, finance manager e Lakshman Kumar, sviluppo vendite fonderia.

A fine lavori, tutto il gruppo è andato in visita all’EXPO di Dubai.

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L’EDITORIALE
Credo proprio torneremo a viaggiare

di Giovanni Laviosa

Ricominciare a farlo ci sorprende come qualco sa di nuovo ma in realtà ripercorriamo spesso strade già conosciute, arricchite ora da una diversa consapevolezza. Non ho mai pensato che i grandi cambiamenti o le grandi perdite lascino tutto inalterato. Quindi non credo vivremo come prima. Mi auguro una maggiore coscienza di quello che abbiamo di…

Ricominciare a farlo ci sorprende come qualco sa di nuovo ma in realtà ripercorriamo spesso strade già conosciute, arricchite ora da una diversa consapevolezza.

Non ho mai pensato che i grandi cambiamenti o le grandi perdite lascino tutto inalterato.

Quindi non credo vivremo come prima.
Mi auguro una maggiore coscienza di quello che abbiamo di importante, in primis gli affetti e tutta la sfera delle relazioni significative che ognuno di noi a volte tende a trascurare.
Senza dimenticare un maggiore rispetto del mondo in cui viviamo: non è nostro, lo si tramanda e basta, ma nostra è la responsabilità di consegnarlo nelle mani dei nostri figli così che sia tanto benigno per loro quanto lo è stato per noi.

Infine occhi che sanno vedere lontano per darci una visione il più possibile profonda del nostro futuro, senza chiuderli di fronte a tutto ciò che non ci piace e senza demandare ad altri il compito di rimediare.

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Foto Fruzzetti dal Concorso “Fotografia e mondo del lavoro”
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Torneremo a viaggiare

di Antonella Alboni

Mi lascio ispirare dal titolo della mostra fotografica organizzata dalla Fondazione Carlo Laviosa per una serie di considerazioni. Questa emergenza sanitaria costituisce per la mia generazione l’unica guerra che abbiamo mai combattuto, con risultati altalenanti, con un futuro ancora incerto e la profonda speranza di uscirne quanto prima. Non sono per natura pessimista ma credo…

Mi lascio ispirare dal titolo della mostra fotografica organizzata dalla Fondazione Carlo Laviosa per una serie di considerazioni.

Questa emergenza sanitaria costituisce per la mia generazione l’unica guerra che abbiamo mai combattuto, con risultati altalenanti, con un futuro ancora incerto e la profonda speranza di uscirne quanto prima.

Non sono per natura pessimista ma credo che, piuttosto, tutti noi dovremo imparare a convivere con questa nuova realtà che non è fatta solo di statistiche, per quanto importanti nel darci un quadro della situazione mondiale. Già abbiamo fatto fronte ad un nuovo stile di vita e alcune nostre abitudini sono cambiate senza escludere che possano, inaspettatamente, essere migliori.

Soffermiamoci un attimo a pensare in modo nuovo, perché questa guerra, con tutti i sacrifici che ha comportato, non sia stata inutile. Abbiamo introdotto lo smart working con tutte le difficoltà del caso, ma, al contempo, abbiamo ridotto le emissioni di anidride carbonica in gran parte del pianeta. Tanti impegni che prima dovevano essere espletati di persona, ora si sono semplificati e ci permettono di capitalizzare tempo per noi.

Il mondo si è cristallizzato per molti mesi, ogni paese intento a risolvere le proprie difficoltà, scontrandosi con tragedie famigliari, economiche e una chiusura sociale che mai avevamo sperimentato.

Il dopo non ci riporterà ad una realtà ante bellum e mi piacerebbe pensare che il TORNEREMO A VIAGGIARE lo sia in senso lato, un nuovo viaggio personale che ognuno di noi affronterà, con diverse consapevolezze e valori più solidi. Tutti noi ci siamo stretti attorno alle nostre famiglie, agli amici più cari che ci sono stati vicini anche solo con una telefonata.

Il non potere uscire ci ha lasciato tempo per coltivare noi stessi, per ritrovare momenti probabilmente meno ludici ma che possono e potranno essere di crescita personale.

Torneremo a viaggiare!
Ce lo auguriamo tutti e facciamolo con gli occhi e col cuore di chi sta combattendo una battaglia ancora non vinta.

 

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Torneremo a viaggiare

di Simona Manfredini

Si è svolta quest’anno la quarta edizione del Concorso fotografico FOTOGRAFIA E MONDO DEL LAVORO promossa dalla Fondazione Carlo Laviosa, a titolo Torneremo a viaggiare: il lavoro nel turismo fra tradizione e nuove forme di ospitalità. Simona Manfredini, che ha curato il concorso 2021, scrive per noi alcune impressioni. Il sentimento che ha guidato l’edizione…

Si è svolta quest’anno la quarta edizione del Concorso fotografico FOTOGRAFIA E MONDO DEL LAVORO promossa dalla Fondazione Carlo Laviosa, a titolo Torneremo a viaggiare: il lavoro nel turismo fra tradizione e nuove forme di ospitalità.

Simona Manfredini, che ha curato il concorso 2021, scrive per noi alcune impressioni.

Il sentimento che ha guidato l’edizione 2021 del concorso Fotografia e mondo del lavoro è stata la speranza, di cui ben si rintraccia il significato nel titolo Torneremo a viaggiare: il lavoro nel turismo fra tradizione e nuove forme di ospitalità.

In una situazione ancora caratterizzata da modeste attività e da un panorama incerto e segnato dalle ferite di oltre un anno e mezzo di chiusure, abbiamo chiesto ai partecipanti di anticipare i tratti di un Nuovo Rinascimento culturale ed economico. La risposta dei fotografi è stata sorprendente: in molti, da tutta Italia e dall’estero, si sono cimentati, con suggestioni ironiche, critiche, confidenti sul lavoro che servirà al nostro Paese per una ripresa positiva e a tutti noi per “tornare a viaggiare”, ovvero ad aprirci, proponendoci la propria visione del mondo che verrà. La prestigiosa e qualificata Giuria del concorso 2021, presieduta da Letizia Battaglia, ha passato in rassegna

341 immagini, fra racconti fotografici e singoli scatti, tutte degne di nota per l’impegno interpretativo.
Notevole la partecipazione di fotografi in collettivo, con progetti realizzati in due o più persone (10% dei lavori iscritti al concorso) così come quella di residenti all’estero o “stranieri” in Italia (12%), indicativa della crescente internazionalità dei giovani, e non solo fotografi, che mantengono verso la terra d’origine uno slancio morale privo di provincialismi ed un legame forte e fertile.

Il lavoro della Giuria ha premiato la speranza e la fiducia nel futuro; ha enfatizzato le indicazioni dei fotografi in concorso che, facendo tesoro dell’esperienza della pandemia, spingono l’attenzione verso un turismo sostenibile e rispettoso dell’ambiente, un modo di viaggiare che implica consapevolezza e amore per i luoghi, ma pure gioia, leggerezza, piacere dello stare insieme, vanto per le nostre tradizioni, interesse per l’arte dell’ospitalità tutta italiana.

L’insieme delle opere ci restituisce l’impressione che oggi l’immagine sostituisca la parola, la comunicazione visiva si affermi su quella verbale come mezzo privilegiato di dialogo, di confronto, di espressione dei propri desideri e dello scontento delle giovani generazioni. Meno parole e più foto, su qualsiasi supporto. Le piattaforme digitali sono le piazze, i social o la street art e le più imprevedibili contaminazioni di linguaggi culturali prendono il posto di quel che le assemblee sono state per le generazioni che si sono affacciate alla partecipazione tra gli anni sessanta e settanta del secolo scorso. E, certo, la spinta a misurarsi in un lavoro in forma collettiva ha a che fare con la voglia di condivisione, tanto a lungo interdetta dalla pandemia, ma ancor più è specchio di una libertà ed un gusto del confronto senza frontiere.

I confini nazionali perdono di senso nell’epoca di internet ed hanno lo sfumato significato che la Cultura lascia nel segno grafico o visivo, in un dialogo davvero senza barriere.

Ci auguriamo che questa mostra riservi ad ogni visitatore sorpresa, piacere, spunti di riflessione sul mondo del lavoro e che corrobori la speranza per un futuro migliore.
Buon viaggio!

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Foto Ambra Montanari – Pietro Romeo | 1° premio dal Concorso “Fotografia e mondo del lavoro”

Abbiamo ricevuto, e con grande piacere pubblichiamo, una lettera a Simona Manfredini, che ha curato per noi il concorso fotografico.

Gentilissima Simona Manfredini,

sono una fotografa e fotogiornalista, lavoro per l’agenzia Getty Images e ci siamo conosciute in occasione della presentazione alla stampa della bella mostra dedicata a Martin Parr. Che con tenacia Serafino Fasulo (insieme e per conto della Fondazione Laviosa) è riuscito a portare a Livorno e a curare, nel vero senso della parola, in questo post pandemia.

Da molto tempo vorrei ringraziare tutti voi della Fondazione Carlo Laviosa per l’impegno appassionato nella fotografia. Un impegno raro, se non unico, per questa arte ed in una città di provincia. Livorno, città dove abito da quando sono una ragazza e che mi ha accolto e dove ho iniziato a lavorare come fotogiornalista. Una città dove la fotografia è molto amata e storicamente molto praticata. Sarà anche per il particolare senso estetico dei cittadini, per la luce, per la possibilità e l’amore della stessa esibizione dei corpi e delle cose, ma qui la fotografia mi è sempre sembrata più amata e vissuta che in molte altre città. Trasversalmente.

Quando avevo letto nelle cronache locali la prima volta della Fondazione Carlo Laviosa, di una Fondazione che si dedicava alla fotografia, ero rimasta molto stupita. Solitamente vi sono fondazioni orientate ad altre arti. La pittura, musica, scultura, architettura, poesia, il ballo. Ma che questa tèchne potesse diventare oggetto dell’attenzione di una intera Fondazione e in a città di provincia italiana, no, non me lo sarei aspettata. Mi ero chiesta i motivi di questa scelta. Avevo immaginato una famiglia con qualche grande innamorato o innamorata della fotografia o qualche felice incrocio di competenze che desse a questa arte una nuova possibilità. E in ogni caso mi era parsa una notizia bella e lungimirante. Un’idea originale, eccezionale e molto sensata. La fotografia è popolare, diffusa, amata. Ma l’organizzazione di mostre e progetti resta quasi sempre confinata dentro stretti circhi e circoli, di festival e grandi eventi. Portare invece la fotografia di alto livello dentro il cuore di un’intera città di provincia mi è parsa cosa meravigliosa e di grande ispirazione.

Complimenti per questa mostra e per i progetti passati che ci avete donato e messo in mostra in varie forme. E mi auguro che resterete ancorati a questa arte così centrale, oggi, nelle vite di ciascuno. Nel mare magnum di immagini che ciascuno di noi produce, condivide, guarda ogni giorno, ogni ora, c’è una grande necessità di creare cornici con dentro progetti e riflessioni.

Ringraziando tutti voi della Fondazione Carlo Laviosa per il lavoro e la bellezza che state portando avanti,

I miei più cordiali saluti, Laura Lezza

Un sincero ringraziamento va a Michele Lezza e all’Associazione 8mmezzo che ha voluto contribuire alla mostra “Torneremo a viaggiare” allestendo con entusiasmo e a titolo gratuito uno speciale Spazio Video. Qui, per tutto il periodo dell’esposizione (3 luglio – 5 settembre 2021), i visitatori hanno potuto godere della proiezione di “Una marea di analogica”, un video montaggio sul lavoro nel turismo e le vacanze a Livorno negli anni ’60/’70.

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Le clip sono state realizzate ad hoc con le immagini di archivio della 8mmezzo, montate da Michele Lezza; la colonna sonora è stata creata appositamente dal musicista Di Maggio Baseball Team con la grafica dell’artista Umberto Staila.

Il progetto della 8mmezzo (www.8mmezzo.it) ha lo scopo di far rivivere le vecchie pellicole abbandonate nelle soffitte di famiglia e non solo.
Nata nel 2014, l’Associazione è una giovane, innovativa e vitale realtà dell’imprenditoria culturale livornese.

Con un archivio di oltre 100 mila metri di pellicola di materiale inedito, 8mmezzo è oggi un punto di riferimento nazionale per il ritrovamento, la digitalizzazione e l’archiviazione di vecchi filmati girati in pellicola 8mm, super8 e 16mm.

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LIFE’S A BEACH
Chi è Martin Parr
Life’s a beach

di Serafino Fasulo

La Fondazione Laviosa porta a Livorno Martin Parr, uno dei grandi della fotografia contemporanea. Chi è Martin Parr – Life’s a beach A un anno e mezzo di distanza, rispetto al previsto, arriva finalmente il tempo di Martin Parr. Una mostra che dal 25 settembre al 12 dicembre 2021 sarà visitabile a I Granai di…

La Fondazione Laviosa porta a Livorno Martin Parr, uno dei grandi della fotografia contemporanea.

Chi è Martin Parr – Life’s a beach

A un anno e mezzo di distanza, rispetto al previsto, arriva finalmente il tempo di Martin Parr. Una mostra che dal 25 settembre al 12 dicembre 2021 sarà visitabile a I Granai di Villa Mimbelli di Livorno. È occorsa tenacia per non rinunciare a questo evento minacciato dalla pandemia ma alla fine la Fondazione Carlo Laviosa ed il Comune di Livorno ce l’hanno fatta. Riconosciuto come uno dei più grandi fotografi contemporanei, Martin Parr (classe 1952) propone uno sguardo per niente omologato di un mondo estremamente omologato. Da oltre quarant’anni scandaglia fotograficamente le trasformazioni sociali dell’Inghilterra, suo paese natale, fino ad estendere il proprio sguardo sul globalizzato Pianeta Terra. Testimone delle fratture socio-culturali dell’epoca thatcheriana, dello sviluppo del turismo di massa, dell’avvento del cibo industriale, dell’omologazione dei comportamenti e degli stili di vita, Martin Parr racconta con sguardo critico, con ironia sferzante, senza mai porsi al di sopra di un sistema ma denunciandone le debolezze delle quali lui stesso è partecipe. E forse, proprio in questo suo sentirsi partecipe di un mondo la cui cruda rappresentazione rasenta il sarcasmo ed il grottesco, sta la chiave del successo di critica, di pubblico e commerciale.

Lui stesso ha spesso posato come soggetto dei suoi scatti non risparmiandosi un’autoironia che negli Autoportraits lo colloca come icona al centro di composizioni vicine ad un gusto nazional-popolare che spesso incontriamo nelle case, soprattutto in quelle degli anziani, dove il souvenir è proposto in un melange che accosta oggetti di disparata provenienza: ricordi familiari, oggetti da bancarelle, icone religiose provenienti dai mercati di luoghi sacri, omaggi floreali e, inevitabilmente, fotografie.

Dagli anni ’90 Parr fa parte della prestigiosa agenzia Magnum, fondata nel 1947 da Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, David Seymour, per citare alcuni dei prestigiosi nomi che si associarono per difendere i diritti dei fotografi. L’agenzia conosciuta per il taglio documentaristico, rappresentato da generazioni di grandi fotografi in scatti di un rigoroso bianco e nero, potrebbe sembrare una casa poco adeguata per un autore che ha fatto del colore saturo, dell’uso del flash in pieno giorno e del digitale gli strumenti della sua cifra stilistica. La contraddizione è solo apparente poiché Martin Parr è il testimone di una società che si trova a proprio agio nell’artefatto, nei cibi che sembrano di plastica, nelle tinte innaturali. È il reporter di un mondo che ha sostituito la rappresentazione al paesaggio, i sogni al concreto, che esalta il sintetico e che si appresta a respirare aria confezionata. Parr, testimone del suo tempo, si iscrive a pieno titolo nella tradizione della fotografia documentaria, con uno scarto, spesso assente anche nei grandi fotoreporter del passato, che lo pone come osservatore e osservato, dietro e davanti all’obiettivo. Apocalittico e integrato, giudice e imputato, coglie le debolezze della contemporaneità ma ravvisa anche i pregi dell’evoluzione scientifica annaffiando il tutto con una dose di humor carico di pietas che scaturisce dal sentirsi parte di un ‘Truman show’ al quale partecipa divertito e inorridito. I soggetti trattati non raccontano teatri di guerra, né flussi migratori né catastrofi naturali, soggetti cari a reporter che si muovono tra fotografia testimoniale e autoriale. Parr è il cronista di una visione in cui l’elemento quotidiano mette in relazione le classi sociali, il triviale che accomuna i ceti e che si esalta nell’utilizzo del tempo libero con i cliché che il consumismo impone, segni di un’umanità ammantata di orpelli spesso volgari, ridicoli, un’umanità che crea la caricatura di se stessa e che si libera nella nudità estiva su spiagge che ancor prima degli abiti spogliano del pudore. “Life’s a beach”, la vita come spiaggia (ma ‘beach’ è omofona anche di ‘bitch’ ovvero cagna, prostituta) esplode l’estate quando i corpi si sgangherano in posizioni impensabili in interni o in orari lavorativi. La “vita in mutande” ammette le bizzarrie, svela i segreti taciuti dagli abiti e li trasforma in ostentazione e posture che si arricchiscono di addobbi: cappelli, occhiali, bandane, pareo, trucco, bibite colorate e quant’altro permetta di concepire il tempo libero come momento di perdita del controllo e della misura.
Se la fotografia si può intendere come specchio della realtà, la mostra “Life’s a Beach” trova in Livorno una tessera mancante o meglio un’immagine mancante. È in estate che lo spirito ‘anarchico’ della nostra città si esalta. Più volte ho osservato la traslazione che il corpo di noi livornesi assume nei mesi estivi: il bacino si sposta in avanti di circa 15°, i piedi si aprono “10’ alle 2” e si trascinano in quella che è la camminata da scoglio o meglio da cemento, da stabilimento balneare. Al conoscente che si incontra, ancora prima del buongiorno si dice “l’hai fatto ir bagno?”. Una volta ho risposto “no” e nel volto del mio interlocutore si è dipinta un’espressione mista a stupore e a preoccupazione; “o cos’hai fatto?” mi ha risposto accorato e sinceramente addolorato. Non lo faccio più, dico sempre “sì”. Ecco, trovo che l’incontro tra la fotografia di Martin Parr e Livorno possa essere origine di sinapsi scoppiettanti poiché raramente, quella che per molti mesi all’anno diventa una città spiaggia, nel pur variegato excursus delle ‘Martin’s beach’, contiene al tempo stesso la capacità di porsi e di guardarsi, di essere in scena e in platea, di essere testo e critica, attori e spettatori in un doppio ruolo dal quale scaturisce una dose di autoironia rara da riscontrarsi ad altre latitudini. L’ironia di chi sa bene che la vita è una ‘bitch’. I livornesi sono un po’ tutti Martin Parr.

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Life’s a beach, la mostra

di Serafino Fasulo

Serafino Fasulo, responsabile della mostra, ci racconta. È occorsa pazienza e perseveranza per poter finalmente inaugurare la mostra “Life’s a beach”, 56 foto di vario formato che il fotografo Martin Parr ha dedicato alla vita da spiaggia. Prevista per la primavera del 2020, la mostra è slittata di mese in mese a causa dell’emergenza Covid…

Serafino Fasulo, responsabile della mostra, ci racconta.

È occorsa pazienza e perseveranza per poter finalmente inaugurare la mostra “Life’s a beach”, 56 foto di vario formato che il fotografo Martin Parr ha dedicato alla vita da spiaggia. Prevista per la primavera del 2020, la mostra è slittata di mese in mese a causa dell’emergenza Covid 19. Fu un duro colpo rinunciarci quando si era ormai in dirittura di arrivo ma la drammaticità degli eventi fece passare la delusione in secondo piano. Oggi finalmente la mostra apre i battenti a I Granai di Villa Mimbelli di Livorno dove, il pubblico si raduna nel parco, crescendo di minuto in minuto. Il “taglio del nastro” spetta al Sindaco di Livorno Luca Salvetti e al Presidente della Fondazione Carlo Laviosa Giovanni Laviosa. La collaborazione tra Comune e Fondazione è iniziata con una precedente amministrazione pertanto è la prima volta che Luca Salvetti assiste ad un evento frutto del sodalizio tra i due soggetti, le sue parole sottolineano l’importanza della sinergia tra pubblico e privato mentre Giovanni Laviosa entra nel merito della straordinaria ironia di Martin Parr che racconta la vita sulle spiagge e coglie gli uomini nel momento in cui si spogliano del pudore, omologandosi, a tutte le latitudini. Dopo i saluti di Andréa Holzherr, responsabile della distribuzione mostre per la prestigiosa agenzia Magnum che ha messo a disposizione “Life’s a beach”, sono l’Assessore alla Cultura, Simone Lenzi ed il sottoscritto Serafino Fasulo in quanto curatore dell’evento, a parlare. Nel frattempo il pubblico satura la zona del parco antistante I Granai e comincia ad entrare regolamentato dal personale della cooperativa Agave alla quale vanno i ringraziamenti per un lavoro svolto con disponibilità e competenza. Si accede alla mostra a gruppi di trenta e non si può sostare a lungo per poter dare la possibilità a tutti di entrare. Molti uscendo dicono “voglio tornarci con calma”, molti non sono livornesi e molti sono giovani. Martin Parr con scatti che coprono circa venticinque anni, dal 1985 al 2010, ha fotografato un mondo che si è andato sempre più omologando, esseri umani di tutte le etnie che mettendosi in mutande perdono il pudore consegnando un’immagine di sé sbracata, spesso al limite del grottesco, e lo ha fatto imprimendo al reportage una svolta stilistica che attraverso l’uso del flash in pieno giorno e la vicinanza al soggetto satura i colori e rende i corpi protagonisti di una distopia che assimila l’uomo ad un’era “plasticosa”, rendendolo soggetto e oggetto dell’industria del turismo.

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foto Martin Parr

Livorno 10 ottobre 2021, Life’s a beach è alla terza settimana di programmazione, le code all’ingresso della mostra non sono diminuite e sono aumentati esponenzialmente i giovani frequentatori a testimonianza della freschezza dello sguardo di Martin Parr, mai pedante, sempre arguto e stimolante. La vita è una spiaggia ma è anche traditrice, “beach” e “bitch”, spiaggia e cagna/prostituta, sono omofone nella lingua inglese. Ciò che non tradisce è il linguaggio dell’arte che accomuna e rende la comunicazione possibile tra popoli e generazioni.

Serafino Fasulo
Curatore di “Life’s a beach” di Martin Parr

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I giovani industriali Parr

Abbiamo avuto il piacere di ospitare, alla mostra di Martin Parr, una delegazione dei giovani imprenditori di Confindustria. La visita era guidata da Serafino Fasulo, curatore della mostra, che ci ha commentato le opere presenti.

Abbiamo avuto il piacere di ospitare, alla mostra di Martin Parr, una delegazione dei giovani imprenditori di Confindustria.

La visita era guidata da Serafino Fasulo, curatore della mostra, che ci ha commentato le opere presenti.

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RUBRICA IMPAVIDE LIVORNESI
Conoscerle per costruire un mondo migliore

Questa rubrica nasce dalla curiosità per donne che oggi come nel passato hanno lasciato un segno, spesso misconosciuto, nella vita di Livorno; perché dalle loro storie nasca una nuova Storia, perché sulle loro tracce si possa costruire un percorso nuovo, un nuovo modo di essere nel mondo del lavoro, nella cultura e nella società.
di Sandra Mazzinghi

Questa rubrica nasce dalla curiosità per donne che oggi come nel passato hanno lasciato un segno, spesso misconosciuto, nella vita di Livorno; perché dalle loro storie nasca una nuova Storia, perché sulle loro tracce si possa costruire un percorso nuovo, un nuovo modo di essere nel mondo del lavoro, nella cultura e nella società.
di Sandra Mazzinghi

Olimpia Vaccari

Una vita all’insegna dell’amore per Livorno, la sua storia, la cultura.

Olimpia Vaccari si è laureata in Lettere all’Università di Pisa, con una tesi in Storia del Commercio e Navigazione. Successivamente ha conseguito il titolo Dottore di Ricerca presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Cagliari, con la discussione di una tesi dal titolo Livorno: nascita di una città portuale. Ecco Livorno, nei suoi studi.
Nel corso degli anni ha svolto attività di ricerca e di didattica presso il dipartimento di Storia dell’Università di Pisa alle cattedre di Storia Medievale e di Storia del Commercio e Navigazione Prof. Marco Tangheroni.
Adesso è coordinatore esecutivo del Centro Studi Storici Mediterranei all’Università di Pisa. Olimpia Vaccari non ha mai smesso di studiare ed approfondire, ha collaborato a numerose pubblicazioni con Marco Tangheroni, Furio Diaz, Franco Cardini e Folco Quilici. Ha curato insieme a Lucia Fatterelli Fischer un volume per la storia della donna a Livorno. Dal luglio 2020 è anche presidente della Fondazione Livorno Arte e Cultura.

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Questa l’intervista che ha concesso a Laviosa informa.
Durante il nostro incontro nei locali che ospitano la collezione permanente dedicata al divisionismo toscano, presso la Fondazione Livorno, sono seduta di fronte al luminoso quadro di Benvenuto Benvenuti “La casa in Maremma”: quelle due finestre spalancate come due occhioni mi guardano mentre parlo con questa donna cordiale, affascinante, colta e acuta, con un entusiasmo e una passione che trasmette energia e voglia di studiare la storia e l’arte, una donna le cui argomentazioni spingono a capire ancor di più Livorno e il suo porto, la sua vita di ieri e di oggi, le sue trasformazioni, la sua cultura misconosciuta. Mi chiede di darle del tu e questo approccio mi piace subito.

Immaginavo, visto il ruolo che ha in Fondazione e all’Università di trovare una donna un po’ fredda e sulle sue, invece la dottoressa Vaccari ha un modo di essere così accogliente che mi spiazza.

D: Parto col curiosare nella sua infanzia… Com’era Olimpia da piccola?
“Mi piaceva molto leggere, mi piacevano le storie, i racconti. L’amore per la lettura è nato proprio da bambina, poi, crescendo, ho maturato una vera e propria passione per i classici. Che leggo e rileggo anche sul telefonino”.

D: Che giochi facevi?
“Ho giocato molto con mio fratello, giochi un po’ da maschi, sempre all’insegna dell’avventura e della libertà. Eravamo costantemente stimolati da nostro padre, uomo curioso della vita al limite della bizzarria che ci proponeva sempre esperienze nuove e alquanto insolite. Una volta da Stadium (negozio storico di articoli sportivi a Livorno, n.d.r.) comprò una grandissima tenda da campeggio e si partì per Palermo, senza neanche mai aver provato a montarla. Fu un’esperienza divertente. Oppure un’altra volta ci portò stivali e cap per fare equitazione, oppure ancora ci portava a sciare nel periodo natalizio, ma si partiva sempre in anticipo perché voleva che vedessimo cadere la neve”.

Olimpia è figlia dell’artista Piero Vaccari, un nome importante nell’arte del novecento livornese.

E i momenti che illuminano ancor più il volto di Olimpia, sono quelli di quando ricorda il padre “Piero il ribelle” (come lo definì Mario Borgiotti) che la portava negli studi dei pittori livornesi, dal grande Renato Natali a Mario Madiai (ai Granai di Villa Mimbelli di Livorno la scorsa estate la sua bellissima mostra “Tracce di memoria”). Rammenta i tanti artisti che erano di casa dai Vaccari, attratti dall’estroversa e turbolenta personalità del padre come dall’accoglienza e dal garbo un po’ severo della bellissima madre Luciana.

Creatività e disciplina pedagogica, sregolatezza apparente e profondo rispetto per la persona, libertà espressiva e rigore morale, sempre all’insegna di intenso calore umano e affettivo: questo si respirava in casa Vaccari, questo ha accompagnato l’infanzia della nostra intervistata e ne ha segnato la solare personalità.

D: E gli studi?
“I miei studi non hanno seguito l’arte, bensì la storia. Non amavo il settore delle scienze anche se ho frequentato proprio il liceo scientifico. E lì ho fatto un grande incontro, il professor Romualdo di storia e filosofia che mi ha fatto scoprire il mondo della storia. E il rigore della ricerca storica, di cui evidentemente avevo bisogno per “affrancarmi” dall’esuberanza del mondo degli artisti in cui ero cresciuta e trovare la mia strada, il mio equilibrio personale. Così gli studi storici li ho proseguiti anche all’Università dove ho incontrato quelli che mi onoro di definire i miei Maestri, due figure essenziali per la mia vita di studentessa e poi di ricercatrice universitaria: Furio Diaz e Marco Tangheroni. Grazie a loro ho capito che volevo continuare il mio lavoro nell’ambito dell’Università, non in cattedra ma nella ricerca”. 

D: Perché proprio la ricerca?
“La ricerca è apertura, non sai mai dove arriverai…”

D: In che ambito?
“Nella portualità, ricerche sul mar Mediterraneo e sulla città di Livorno.”

D: Svolgi da sola le ricerche storiche?
“Sì, mi piace stare in biblioteca e in archivio”.

D: Dall’archivio a far ricerche per scrivere i tuoi libri a Presidente della Fondazione Livorno Arte e Cultura. Hai sentito una dissociazione?
“Sì, all’inizio. L’incarico in Fondazione è rivolto a progetti che altri possono fruire (festival mostre, conferenze, collaborazioni) ma amo ciò che faccio perché è rivolto alla mia amatissima Livorno”.

Nonostante Olimpia abbia vissuto con infiniti stimoli, figlia di un uomo tutto genio e sregolatezza, si è data invece delle regole nella vita e ha raggiunto un notevole successo nella vita professionale.

Ed ha avuto successo anche nella vita privata direi, visto che si è sposata quando aveva diciannove anni e ancora parla del marito con grande emozione e amore. Lo ha nominato spesso durante questa intervista, e gliel’ho fatto notare, perché è strano che una donna che ha ruoli così importanti, nelle risposte non si concentri solo su se stessa e sul suo ruolo pubblico. Dà molto spazio invece al marito, al suo fianco da più di quarant’anni.

Le chiedo il segreto di questa unione così duratura, così forte, che si percepisce in ogni parola, in ogni lampo di sguardo quando parla del marito . “Il rispetto, le regole e il crescere insieme”: si sono fidanzati che Olimpia era veramente una ragazzina.

Hanno una figlia, Alessia: giovane esperta di grafica e web. E quando Olimpia scrive un libro si avvale spesso della sua collaborazione.
Olimpia Vaccari è una donna bella adesso, ma bella lo è sempre stata, molto attenta al suo corpo, all’alimentazione, ha un fisico da fotomodella. In effetti, mi dice, che per un periodo ha fatto l’indossatrice, una parentesi che l’ha tentata per un attimo a “deviare” da quello che invece è diventato il suo lavoro, perché era divertente e guadagnava anche molti soldi a sfilata. Soldi che investiva in abiti, che ama molto e che considera comunque un’espressione del nostro modo di essere, della nostra cultura. Ricorda che sua madre comprava i vestiti allo storico negozio Palinuro ed erano sempre mises meravigliose. Mentre fa colazione legge la rassegna stampa del giorno. Parte dalle testate locali: Il Tirreno, la Nazione, Livornosera, Quilivorno, e poi passa ai nazionali. Dei giornali ama leggere la cronaca. Che è storia. Che è il suo pallino, ormai questo l’ho capito.

E così inizia la sua giornata intensa di lavoro in Fondazione Livorno Arte e Cultura, il suo lavoro di ricercatrice e di stesura di libri. Nella sua stanza ci sono opere con soggetti marini, di fronte alla sua scrivania c’è un quadro di Giovanni March dal titolo Barche-cantiere sul Pontino. Dice che la ispira.

Anche se la risposta già la conosco, le chiedo: quanto è grande il tuo amore per Livorno?
“È immenso!”

Mi anticipa che nell’aprile del 2022 ci sarà una mostra sul divisionismo di Vittore Grubicy De Dragon (curata da Aurora Scotti e Sergio Rebora, massimi studiosi di questa stagione artistica) e mi accompagna ad ammirare alcune sue opere e una scultura fantastica realizzata da Adolfo Wildt. Sono felice di aver visto in anteprima lavori di una mostra così importante, ho una sensazione di curiosità così forte che non mi abbandona ancora adesso che sto per finire di scrivere questa mia chiacchierata con Olimpia Vaccari.

Mi sento un po’ come il portavoce dei livornesi e mi viene il desiderio di chiedere a Olimpia Vaccari di fare sempre di più per questa città che, dopo un anno di staticità a causa della pandemia, ha avuto finalmente un’estate convulsa e piena di eventi, anche talvolta sovrapposti: ma troppa era la voglia di ricominciare.

D: Che cosa fa Olimpia Vaccari quando non lavora?
“Mi piace essere anche vagabonda, adoro stare a casa a non far niente, ogni tanto ho bisogno di fermarmi”.

Fermati pure, ogni tanto, Olimpia. Ma non per molto tempo. Livorno ha bisogno di donne come te!

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I Libri, un diverso modo di viaggiare

di Antonella Alboni

Abbiamo dedicato una mostra fotografica al tema Torneremo a viaggiare, ovvero l’augurio che si chiuda un periodo nefasto della nostra contemporaneità. Vorrei altresì sottolineare che molti di noi non hanno mai smesso di viaggiare, né lo faranno mai, purché chiusi in una soffitta piena di libri. Il viaggio è una tensione verso l’esterno, si perpetua…

Abbiamo dedicato una mostra fotografica al tema Torneremo a viaggiare, ovvero l’augurio che si chiuda un periodo nefasto della nostra contemporaneità.
Vorrei altresì sottolineare che molti di noi non hanno mai smesso di viaggiare, né lo faranno mai, purché chiusi in una soffitta piena di libri.

Il viaggio è una tensione verso l’esterno, si perpetua da millenni come volontà di scoperta, come curiosità verso tutto ciò che è fuori, lontano da noi e soprattutto diverso.
Solo in tempi recenti il viaggio è diventato un fenomeno diffuso, mosso da motivazioni vacanziere, culturali e, in alcuni casi, alla scoperta di sé stessi.

Il viaggio è comunque sempre un confronto, una sfida e una ricerca; è la sete di conoscere ciò che non conosciamo, è un viaggio della mente.
L’antesignano, diventato archetipo del viaggio stesso, è Ulisse, che Omero mette di fronte ad ogni tipo di avversità, in un epico ritorno a casa che dura vent’anni.

Chi di noi potrebbe dire di non aver viaggiato dopo avere letto l’epopea di Ulisse?
Un libro è un viaggio, ci sono viaggi impegnativi, altri leggeri, allo scopo di svagarsi o riposare la mente. E il dono di ogni pagina scritta è l’ubiquità, possiamo essere al mattino a New York e
poche ore dopo a Gubbio.
La mente vaga, affidandosi ad una fantasia che non ha confini; conosce gente, luoghi e situazioni che a volte ci rapiscono il cuore e altre ci fanno fuggire a gambe levate.
Per centinaia di anni gli uomini hanno viaggiato leggendo o ascoltando racconti orali.
Chi di noi non ha incontrato i Pirati della Malesia senza avere il visto malese sul passaporto?
Lo stesso Salgari aveva conosciuto i misteri della giungla sui libri e i mari caraibici sugli atlanti. Si racconta che il suo unico viaggio via mare sia stato sull’Adriatico, dal Veneto alla Puglia e a lui si attribuisce la frase: Scrivere è viaggiare senza la scocciatura dei bagagli. Non a caso di lui si parla come del Viaggiatore immobile.
Ai tempi nostri siamo diventati esperti nell’organizzare bagagli e il viaggio fa parte del nostro quotidiano.
È una grande fortuna, ma non dimentichiamo di mettere in valigia un buon libro.

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